Vulnerabili

VULNERABILI

Molte delle persone che arrivano sulle nostre coste o ai nostri confini sono particolarmente vulnerabili.  Vittime di tortura, donne che hanno subito violenze, minori stranieri non accompagnati non sono una minoranza, ma una parte consistente di quanti cercano protezione in Italia.

Per tutti è necessario un sistema di identificazione efficace che, attraverso l’accesso a servizi mirati, possa dare pieno accesso ai diritti riconosciuti. Per i gruppi vulnerabili il tema della loro tutela non appartiene solo alle previsioni legislative, ma anche alla possibilità di accedere a qualificati servizi dedicati e quindi ai diritti previste.

Tutti passaggi resi ancor più incerti dai recenti cambiamenti normativi e dal decreto sicurezza. Ma se i servizi sono diminuiti, le loro esigenze rimangono le stesse.

Vittime di tortura

Si stima che il 30% dei richiedenti asilo che arrivano in Europa abbia subito esperienze di tortura. Eventi catastrofici come la tortura, praticata per volontà di un uomo su un altro uomo, provocano lacerazioni che modificano sostanzialmente l’essenza dell’individuo. Le precarie condizioni di vita e l’assoluta incertezza sul proprio futuro tendono a perpetuare le esperienze di re-traumatizzazione, sostenendo un circolo vizioso che rende assai difficile il trattamento e il recupero di una soddisfacente qualità di vita. È per questo che la precoce individuazione e i trattamenti rivolti alla cura e al recupero dei rifugiati sopravvissuti a tortura dovrebbero prevedere un intervento tempestivo e contemporaneo sia a livello medico-psicologico che sociale: per creare condizioni di vita volte a contrastare esperienze di estrema incertezza e possibili re-traumatizzazioni.

Purtroppo, non esiste ancora una procedura standardizzata che consenta una presa in carico e un referral che funzioni in qualunque situazione, incluse quelle di emergenza. Sul piano istituzionale non esiste ancora un meccanismo di presa in carico e referralconsolidato e standardizzato.

Anzi, la riforma dell’accoglienza disegnata nel Decreto sicurezza e i tagli previsti per l’accoglienza dei richiedenti asilo che vanno a impoverire fortemente i servizi a loro favore, andranno indubbiamente a ridurre sia le capacità di identificazione delle persone vittime di violenza e tortura sia le possibilità di sviluppare percorsi di presa in carico qualificata.

Minori stranieri non accompagnati

La presenza dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) in Italia è divenuta negli anni una costante e ha fatto emergere fragilità, bisogni e complessità a cui è necessario dare risposte articolate.

Al 31 dicembre 2018 sono censiti in Italia 10.787 MSNA.  Un numero che rileva un forte decremento rispetto allo stesso periodo di rilevazione dei due anni precedenti: ben il 41,1% in meno rispetto al 2017 e il 37,9% in meno rispetto al 2016. Un decremento che può essere attribuito alla diminuzione degli sbarchi dalla Libia e alla limitazione del flusso dalla Turchia verso l’Europa.

Alla fine del 2018, 5.229 MSNA in Italia risultavano irreperibili, scomparsi dopo la loro identificazione. Fra questi i più numerosi i ragazzi Eritrei – 14,9%, Tunisini – 12,7%, Somali – 11,4% e Afghani -10,1% (tutti i dati sono del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

L’alto numero di abbandoni è uno degli aspetti più problematici quando si parla della tutela dei MSNA. Sono moltissimi quelli che non vogliono la protezione che l’Italia riconosce loro, che appena possibile abbandonano le strutture dedicate dove sono accolti. Le ragioni sono diverse: hanno relazioni strutturate in altri Paesi Europei (spesso familiari o appartenenti alla loro comunità), hanno un percorso migratorio ben definito (condiviso con le famiglie già nel Paese di origine), diffidano di tutti i possibili canali legali per perseguire questo scopo. Non si fidano del sistema di protezione e accoglienza italiano, un sistema che è disseminato di lungaggini e falle di carattere pratico. Né delle pachidermiche procedure europee per ottenere un ricongiungimento familiare sotto il Regolamento Dublino.

D’altra parte, nonostante un quadro normativo evoluto rispetto ad altri Paesi UE, sono numerose le falle del sistema di accoglienza e protezione dei MSNA:

  1. Inadeguatezza dei servizi dedicati
  2. Procedure di identificazione non omogenee sul territorio nazionale
  3. Numero limitato dei tutori, figure indispensabili per permettere la piena fruizione dei diritti.

Inoltre l’approvazione del c.d. Decreto sicurezza, con l’abolizione della protezione umanitaria e la restrizione di accesso al sistema di accoglienza, sta avendo un impatto estremamente negativo su molti ex MSNA ora neomaggiorenni. Da una parte molti di loro non hanno più la protezione umanitaria a tutelare la loro particolare condizione di fragilità: a compimento dei loro 18 anni, se non avranno la possibilità di convertire il permesso di soggiorno in pds per motivo di lavoro o studio, diverranno irregolari. Allo stesso tempo, chi neomaggiorenne con una protezione umanitaria ed èaccolto nei centri governativi o appena uscito da una comunità per minori, non potrà essere inserito in SPRAR.

Donne vittime di violenza

La violenza di genere, che colpisce più frequentemente le donne, è riconosciuta a livello internazionale come violazione dei diritti umani. Vi sono donne soggette ad abusi per aver trasgredito alle norme sociali o culturali della propria società di appartenenza, donne vittime di matrimonio forzato, violenza domestica, stupro o mutilazioni genitali. Come documentato da ricerche sul tema e dalle esperienze degli operatori del settore, almeno il 50% delle donne che hanno visto riconoscersi un tipo di protezione in Italia ha subito una forma di violenza di genere nei paesi di origine o nei paesi di transito.

Le donne rifugiate, in fuga da guerre o da contesti estremamente poveri, vivono già nei Paesi di origine uno stato di necessità dovuto proprio ad una discriminazione di genere, scarso reddito, mancato o scarso accesso all’istruzione e ai servizi sanitari, assenza di tutele giuridiche, esposizione a violenze e sfruttamento. Quando fuggono dai combattimenti in cerca d’asilo, donne e bambini devono affrontare gli ulteriori rischi di subire violenza sessuale e di genere nei paesi di transito.  La situazione di grave sfruttamento e gli abusi ai quali sono soggette le donne in questi luoghi e soprattutto in Libia, sono state denunciate anche da organizzazioni umanitarie e agenzie internazionali.

Una volta giunte in Italia, dopo l’inferno della Libia e i pericoli della traversata via mare, queste donne vittime di violenze sessuali e basate sul genere rischiano di essere nuovamente agganciate da reti criminali.

Fra le diverse persecuzioni legate al genere, la tratta ha assunto in Italia dimensioni particolarmente rilevanti. Nel 2016 e nel 2017 la prima nazionalità delle persone arrivate sulle coste Italiane è stata quella Nigeriana che, secondo l’OIM, rappresenta altresì la nazionalità più esposta al fenomeno tratta. Si stima infatti che l’80% delle Nigeriane arrivate via mare in Italia nel 2016 sia vittima di tratta. Allo stesso tempo, i Nigeriani sono il gruppo nazionale più rappresentato nelle richieste d’asilo: con 27.289 domande di protezione presentate nel 2016 e 25.964 nel 2017. Il fenomeno della tratta si sta pertanto intrecciando sempre più frequentemente con il percorso di protezione internazionale.

Nonostante gli indiscutibili miglioramenti nel diritto e nella prassi su questo tema, la maggioranza delle vittime sceglie però di non denunciare le situazioni di sfruttamento agli enti di tutela o alle Forze dell’Ordine, sia per riluttanza nel rivelare le esperienze traumatiche vissute sia perché la maggior parte delle persone si trovano schiacciate da meccanismi di coercizione fisica e psicologica. Inoltre, le donne non ricevono o non assimilano adeguatamente le informazioni pertinenti, col rischio di non accedere alle misure di protezione e di non beneficiare dei servizi di supporto loro garantiti.

La violenza di genere, come già accennato, può inoltre assumere molte altre forme, oltre alla tratta, quali le mutilazioni genitali femminili, la violenza domestica, i matrimoni forzatie, parimenti, può essere una delle motivazioni che conducono al riconoscimento della protezione internazionale, in quanto persecuzione correlata all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, identificato appunto nel genere, concetto che si riferisce alla relazione tra uomo e donna basata su identità, status, ruoli e responsabilità, costruite e definite socialmente o culturalmente.

Per tutte queste donne l’accesso ai diritti è indissolubilmente legato alla possibilità di essere correttamente informate e a una presa in carico qualificata sotto il profilo legale, medico, psicologico e sociale.

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