Caporalato: la Corte d’Assise d’Appello di Lecce ribalta sentenza di primo grado e scagiona gli imprenditori

Nel maggio del 2012 l’operazione SABR dei carabinieri del ROS di Lecce condusse all’arresto di ventidue persone per numerosi capi d’accusa, fra i quali anche quello di riduzione in schiavitù. Finirono in manette anche alcuni imprenditori agricoli di Nardò e le condanne furono importanti, fino a 11 anni di reclusione.
A distanza di sette anni in città si respira lo stesso clima di allora.
All’epoca in tanti, fra amministratori e gente comune, si prodigarono per tessere le lodi di questi imprenditori, per difenderli dalle infamanti accuse e per salvare il buon nome della città.

Oggi che la Corte d’Assise d’ Appello di Lecce, ribaltando la precedente sentenza di primo grado, riabilita e scagiona del tutto quegli imprenditori, si notano dichiarazioni di giubilo ed esaltanti versioni della storia, basate su interpretazioni del tutto soggettive e non aderenti ad una diretta e reale conoscenza dei fatti, tese a dimostrare che qui a Nardò lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo non sia mai esistito.

Nell’estate 2011 nelle campagne di Nardò per la prima volta i lavoratori migranti si organizzarono in una protesta collettiva, contestando le regole consuetudinarie di questo sistema di produzione. Il loro fu il primo sciopero dei lavoratori migranti e fu la dimostrazione della loro forza contrattuale e politica. Quello stesso anno fu conseguentemente normato il reato di caporalato, introdotto nel Codice penale all’art. 603. Un fatto storico nel panorama nazionale, che pur soffrendo di questa endemica peste da centinaia di anni, mai fino ad allora, mai fino a quello sciopero, si era dotato di una specifica fattispecie repressiva. 
La recente sentenza, di cui ancora si conosce solo il dispositivo, ha ora stabilito, per gli episodi di estorsione contestati agli imputati e riunificati nel reato di riduzione in schiavitù, la nullità del decreto che dispone il giudizio del 20 dicembre 2012, prevedendo la trasmissione degli atti al Gup. La contestazione è stata ritenuta generica e il fatto contestato non ancora previsto al tempo come reato. Per effetto delle assoluzioni, sono inoltre stati annullati anche molti dei risarcimenti disposti in primo grado. 
Noi al tempo dei fatti contestati (tra il 2009 e il 2011) eravamo già testimoni attenti di quello che succedeva nelle nostre campagne nel periodo estivo e con il tempo abbiamo imparato a conoscere bene le condizioni di vita e di lavoro dei tantissimi raccoglitori di angurie e pomodori, tutti provenienti dall’Africa, incontrati nel ghetto di contrada Arene Serrazze o nelle casette fatiscenti disseminate nell’agro di Nardò in cui erano costretti a trovare riparo. Conosciamo i nomi, le storie, la prassi del reclutamento su base irregolare, le vessazioni fisiche e psicologiche connesse alla loro condizione di lavoratori, i turni massacranti, le paghe misere ed ulteriormente immiserite e ci chiediamo cosa succederà adesso, se gli scenari saranno simili a quelli che abbiamo sempre registrato o se cambieranno.
A noi, la sentenza d’appello del processo Sabr lascia certamente l’amaro in bocca ma comunque ci auguriamo che questa pronuncia possa essere oggetto di un più scrupoloso e accurato vaglio da parte della Cassazione, nella direzione della tutela dei lavoratori. A loro e solo a loro ancora una volta esprimiamo la nostra solidarietà.

Associazione Diritti a Sud
CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati 
Associazione Meticcia Lecce

(foto scattata da Diritti a Sud nel ghetto in Contrada Arene Serrazze a Nardò nell’ottobre del 2016)