Protocollo Italia – Albania: cos’è lo screening preventivo dei richiedenti asilo vulnerabili

Pochi giorni fa il ddl di ratifica del protocollo Italia-Albania sui migranti è stato approvato alla Camera con 155 voti a favore, 115 contrari, 2 astensioni. Il testo ora passa al vaglio del Senato.

Un accordo sconfortante e che solleva tanti dubbi. Gli aspetti che ci preoccupano sono numerosi, uno di questi riguarda la tutela dei richiedenti asilo vulnerabili: l’accordo prevede che non si applicherà ai portatori di vulnerabilità, ma non indica in quale modo questi siano identificati nel concreto.

L’intervento del Viceministro Affari esteri e della Cooperazione Internazionale, Edmondo Cirielli delinea un quadro molto allarmante che vedrebbe realizzare le procedure di screening per identificare i soggetti vulnerabili in alto mare, a bordo delle navi delle autorità italiane che hanno effettuato i soccorsi. Nella seduta in parlamento il Viceministro Cirielli ha affermato che a bordo della nave verrà effettuato uno “screening preventivo”, precisando che rimane la possibilità di effettuare eventuali, ulteriori valutazioni delle condizioni di vulnerabilità anche in un momento successivo allo sbarco in Albania in quanto “non di rado la condizione di vulnerabilità può essere immediatamente rilevabile mediante lo screening preventivo a bordo”.

L’introduzione di uno screening preventivo permetterebbe di identificare le vulnerabilità più evidenti (anziani, persone con disabilità fisiche evidenti e bambini) mentre non consentirebbe l’identificazione di tutte una serie di vulnerabilità importanti ma meno visibili (persone vittime di violenza psicologica, fisica, sessuale, MSNA). Il rischio più che concreto è che queste persone verrebbero portate in Albania, con la possibilità di tornare in Italia solo una volta dimostrato il proprio status di vulnerabile, sempre che nei centri di detenzione amministrativa in Albania ci siano le professionalità adeguate per condurre una tale valutazione. E anche laddove si riuscissero a rilevare in un secondo momento tali vulnerabilità, le persone verrebbero sottoposte ad un regime di triplice stress: il non riconoscimento della loro situazione personale a bordo della nave, il viaggio verso l’Albania e la nuova procedura di screening a cui saranno sottoposte e il potenziale ritorno in Italia una volta riconosciuto il loro status. Uno scenario che non tutela in alcun modo i migranti vulnerabili, che avrebbero bisogno di tutele specifiche, così come previsto dalla legge e dalle pratiche promosse dal Ministero dell’Interno.

Le persone considerate vulnerabili sono delineate all’art.19 comma 2bis del Testo Unico sull’Immigrazione (D.lgs. 286/1998) quali “persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali”. Questo orientamento viene confermato dall’art.17 del D.lgs. 142/2015, il quale recependo la Direttiva 2013/33/UE aggiunge alle categorie sopramenzionate anche le vittime di tratta, le vittime di torture e le violenze legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere.

Una commissione speciale ha formulato per il Ministero dell’Interno un Vademecum ufficiale per l’identificazione della vulnerabilità, dove al paragrafo 2 si afferma che: “Il processo di individuazione ed emersione delle vulnerabilità è da considerarsi quale attività che accompagna la persona in tutte le fasi del sistema di soccorso e di accoglienza, dalla fase del salvataggio in mare a quella di accesso al territorio, durante la procedura di protezione internazionale, per coloro che ne hanno fatto richiesta, e nelle fasi successive dell’accoglienza”.

In particolare, il Vademecum sottolinea l’importanza del primo approccio al soggetto vulnerabile con dei mediatori culturali e operatori specializzati: sono loro che costituiscono un ponte per l’accompagnamento e la facilitazione alle procedure e all’acquisizione delle informazioni specifiche che possono servire per identificare le vulnerabilità. Interventi che devono essere personalizzati e che devono prevedere il coordinamento di più attori, in modo da garantire un approccio multidisciplinare e integrato. La presa in carico delle persone vulnerabili è fondamentale già prima delle operazioni di sbarco, dove però è possibile osservare solo condizioni di “vulnerabilità evidenti” come minori o donne incinta in stato di gravidanza avanzata. Fondamentale è quindi il momento successivo allo sbarco dove è possibile effettuare il triage medico-sanitario con il supporto di mediatori linguistici e culturali. Prendendo in analisi alcune categorie di soggetti vulnerabili è difatti possibile comprendere come sia estremamente complesso ottenere una determinata tipologia di informazioni:

  • Minori accompagnati: informazioni specifiche circa l’età ed eventuali patologie fisiche e psichiche (le quali possono essere confermate a seguito di una visita medica); primi accertamenti circa il nucleo famigliare per evitare il rischio di separare il minore dai parenti più prossimo e allo stesso tempo accertarsi che il bambino non sia vittima di traffico o tratta.
  • Minori stranieri non accompagnati: informazioni circa l’età e l’effettività che la persona minorenne viaggia da sola; accertamenti circa patologie o traumi; informazioni su dove si trovino i famigliari; azioni volte a capire se il minore sia vittima di abusi, violenze o tratta.
  • Vittime di tratta: tentativo di far emergere la vulnerabilità (aspetto molto difficile perché le vittime di tratta sono spesso soggiogate dai loro carnefici e non denunciano per paura di ritorsioni); valutare se la vittima sia accompagnata da uno o più trafficanti.
  • Persone anziane: valutazione di esigenze specifiche (problemi motori, difficoltà di orientamento); visita medica per valutazione dello stato psico-fisico.
  • Persone affette da disturbi mentali: individuazione di alterazioni di salute psico-fisica e valutazione dell’esistenza di una patologia cronica da parte di un medico.
  • Persone con disabilità: individuazione della disabilità fisica e valutazione del grado di disabilità da parte di un medico.
  • Donne in gravidanza: individuazione dello stato di gravidanza (se nei primi mesi di gestazione individuabile solo tramite ecografia); individuazione di bisogni specifici; valutazione della possibilità che la gravidanza sia indesiderata o risultato di uno stupro; spesso necessario immediato trasferimento ospedaliero.
  • Vittime di torture: difficile l’individuazione se non presentano evidenti segni visibili; rilevamento dello status di vittima di tortura solo tramite una prolungata osservazione e ascolto partecipato.

In tutti questi casi per far emergere informazioni riguardo a violenze è fondamentale predisporre un ambiente sicuro e riservato dove la persona vulnerabile possa sentirsi al sicuro. Non sempre le vulnerabilità di un soggetto sono visibili e richiedono tempo per emergere. Si pensi alle vittime di torture, alle vittime di abusi sessuali, alle vittime di persecuzioni per motivi legati all’orientamento sessuale o alle vittime di violenze psicologiche, è impossibile identificarle a primo impatto, dopo un breve colloquio.

Derivando alcune preliminari conclusioni, risulta davvero difficile comprendere come, in contrasto con la normativa internazionale e con i documenti pubblicati dallo stesso Ministero dell’Interno, sarà possibile identificare le persone considerate vulnerabili a bordo della nave che ha effettuato il soccorso in mare. Stando poi a quanto affermato sempre dal Viceministro, i migranti ai quali fosse accertata una condizione di vulnerabilità sarebbero trattenuti sulla nave fino al ritorno in Italia mentre saranno fatti sbarcare in Albania solo quelli che prima facie sono eleggibili per le procedure amministrative da svolgersi su territorio albanese. Per i primi quindi il soccorso si concluderà solo una volta in Italia, allungando considerevolmente i tempi di permanenza a bordo.

 

 

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