“Pushed beyond the limits”: la Commissaria del Consiglio d’Europa denuncia le violazioni di diritti umani alle frontiere europee

E si rivolge agli Stati affinché pongano fine ai respingimenti

La scorsa settimana la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa (CoE), Dunja Mijatović, ha presentato agli Stati membri una Raccomandazione intitolata “Pushed beyond the limits. Four areas for urgent action to end human rights violations at Europe’s borders”.

Nel documento la Commissaria evidenzia, in primo luogo, che “la risposta calorosa e accogliente assicurata dagli Stati europei ai profughi ucraini si pone in netto contrasto con le diffuse violazioni di diritti umani commesse contro rifugiati, richiedenti asilo e migranti provenienti da altre parti del mondo […], soprattutto sottoponendoli a respingimenti“. Rileva, inoltre, che “le autorità degli Stati membri hanno addirittura utilizzato l’arrivo dei profughi dall’Ucraina per giustificare la perpetuazione di respingimenti illegali degli altri rifugiati, richiedenti asilo e migranti, anche creando false dicotomie […]”.

Dal documento emerge che i respingimenti in frontiera coinvolgono almeno la metà degli Stati membri del CoE – per la gran parte anche membri dell’UE – e, spesso, più confini di uno stesso Stato.

La Commissaria evidenzia che, pur trattandosi di pratiche ormai diffusa da anni, ad essere preoccupante è la “dimensione crescente” dei respingimenti, nonché il modo in cui le reazioni degli Stati sono cambiate nel tempo: mentre alcuni continuano a negarli in modo assoluto – malgrado “prove schiaccianti” e condanne da parte delle organizzazioni internazionali, altri si appellano a cosiddette “legittime giustificazioni” (come accordi di riammissione, o di altro tipo, con Stati confinanti, o norme sovranazionali sui controlli alle frontiere), altri ancora alla necessità di fronteggiare situazioni “senza precedenti” o “emergenziali” (ad esempio, la pandemia di Covid-19).

Tuttavia, ricorda la Commissaria, tali giustificazioni non tengono conto di un principio fondamentale – radicato nel diritto internazionale e confermato dalla giurisprudenza CEDU – secondo cui “ogni azione relativa al controllo delle frontiere deve essere svolta nel pieno rispetto degli obblighi degli Stati in materia di diritti umani e diritto d’asilo, anche quando devono affrontano sfide legate all’arrivo di rifugiati, richiedenti asilo e migranti”.

Il numero dei respingimenti riportati nel documento è allarmante. Di questi, si nota nella Raccomandazione, gli incidenti sulla Rotta Balcanica sono tra i meglio documentati, per la presenza di varie organizzazioni che raccolgono dati e testimonianze delle vittime.

Particolarmente violenti risultano essere, in particolare, i respingimenti della Croazia verso la Bosnia-Erzegovina, con casi di persone portate vicino alla frontiera e “costrette con l’uso di minacce e abusi a camminare oltre il confine di nuovo in Bosnia-Erzegovina”. Tra dicembre 2019 e settembre 2021, il solo Danish Refugee Council ha registrato 30.309 segnalazioni, alcune delle quali relative ai cosiddetti respingimenti “a catena”. Sempre più preoccupanti, poi, i respingimenti al confine tra Polonia e Bielorussia, su cui la Commissaria si è recentemente pronunciata anche nell’ambito di un intervento davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo (ne avevamo parlato qui).

Tra gli Stati che attuano pratiche “respingenti” anche l’Ungheria, la stessa Bosnia-Erzegovina, la Romania, la Serbia, la Lettonia, la Bulgaria, la Francia, il Regno Unito, la Spagna, la Grecia, Cipro.

E l’Italia. Tra maggio e dicembre 2020, in nostro Paese avrebbe infatti “inviato almeno 1.300 persone in Slovenia, sulla base di una procedura di riammissione informale e senza valutazioni individuali”. Segnalati anche respingimenti versi la Croazia e l’Albania. Inoltre, secondo quanto riferito, l’Italia starebbe ancora rinviando in Grecia persone che arrivano ai confini marittimi dell’Adriatico, “nonostante la sentenza Sharifi della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

La Commissaria ricorda poi di aver espresso, già da tempo, gravi preoccupazioni per la situazione nel Mediterraneo centrale, soprattutto per quanto riguarda i c.d. pullbacks in Libia, “supportati in diverso modo da vari stati membri, in particolare l’Italia e Malta”. Nel documento si evidenzia che, malgrado le gravi violazioni dei diritti umani a cui sono esposte le persone riportate in Libia, e “i ripetuti appelli della Commissaria e di numerose altre organizzazioni internazionali, tale supporto è continuato senza sosta”.

A fronte di tali, drammatiche, evidenze, la Commissaria ha chiesto agli Stati di agire tempestivamente e con responsabilità per porre fine ai respingimenti e ripristinare il rispetto dei diritti umani alle frontiere europee. Le raccomandazioni della Commissaria si concentrano attorno a quattro aree principali di intervento:

  1. Gli Stati devono adempiere, in buona fede, ai propri obblighi in materia di diritti umani, in particolare quelli previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), assicurandone l’applicazione effettiva nei confronti dei rifugiati, richiedenti asilo e migranti che arrivano ai loro confini.

Come evidenziato nella Raccomandazione, spesso i respingimenti implicano violazioni di obblighi e principi fondamentali in materia di diritti umani, tra i quali: la protezione del diritto alla vita e il divieto di tortura o trattamento inumano o degradante (artt. 2 e 3 CEDU, dei quali l’art. 15 CEDU sancisce l’inderogabilità assoluta), il principio di non-respingimento (art. 33 della  Convenzione di Ginevra del 1951), il divieto di espulsioni collettive (art. 4 del Protocollo n. 4 CEDU), la tutela del diritto ad un ricorso effettivo (art. 13 CEDU).  

Obblighi che gli Stati sono chiamati ad adempiere “in buona fede” – evitando cioè di “reinterpretarli” o “riformularli” in maniera scorretta. Ciò richiede prima di tutto che gli Stati si astengano dall’eseguire rimpatri in assenza di una valutazione individuale dei singoli casi, nonché dall’introdurre leggi o politiche che ammettano tali pratiche. Gli Stati sono inoltre chiamati a stabilire regole e procedure chiare e vincolanti per i controlli su coloro che attraversano illegalmente le frontiere, assicurando che le stesse siano conformi alle norme e agli standard di protezione dei rifugiati e garantiscano, in ogni caso, l’accesso ad una procedura di asilo efficace, equa e sorretta da adeguate garanzie.

  1. Gli Stati sono chiamati a rafforzare la trasparenza delle attività di controllo alle frontiere, potenziando i meccanismi indipendenti di monitoraggio e gli strumenti di individuazione dei responsabili di violazioni dei diritti umani

Tra le raccomandazioni rivolte agli Stati vi è, in particolare, quella di assicurare la piena collaborazione con le organizzazioni nazionali e internazionali impegnate in attività di monitoraggio, facilitandone l’attività e dando riscontro alle segnalazioni ricevute. Si raccomanda inoltre agli Stati di riconoscere il ruolo cruciale svolto della società civile, dagli attivisti e dai giornalisti nel portare alla luce le violazioni che si verificano alle frontiere, sostenendone l’impegno e tutelandoli da possibili violenze o minacce.

  1. Gli Stati devono riconoscere i respingimenti come un grave problema paneuropeo, che richiede un’azione comune

Si evidenzia la necessità che gli Stati assumano una posizione chiara contro i respingimenti e denuncino le rispettive responsabilità per violazioni degli standard e valori comuni sui diritti umani, sia nelle proprie relazioni bilaterali che in contesti multilaterali. In particolare, la Commissaria ricorda che “[d]i fronte a prove schiaccianti di respingimenti in tutta Europa, tutti gli Stati membri, compresi quelli che non effettuano direttamente tali respingimenti, devono farsi avanti e parlare. Non farlo equivarrà a perdonare silenziosamente le violazioni dei diritti umani”.

Si raccomanda inoltre agli Stati di migliorare gli strumenti di solidarietà e condivisione delle responsabilità, soprattutto a sostegno dei Paesi di primo arrivo, nonché di sospendere qualsiasi forma di supporto fornito a Stati terzi quando non sussistano chiare garanzie sul rispetto dei diritti umani.

  1. I parlamentari devono assumersi le proprie responsabilità e opporsi ai respingimenti, impedendo l’adozione di leggi o politiche che non siano conformi ai diritti umani

La Commissaria rivolge raccomandazioni specifiche ai parlamentari nazionali, sia come legislatori che come garanti della tenuta del sistema democratico, esortandoli a chiedere che i governi rendano conto dei respingimenti, e ad utilizzare appieno le possibilità offerte dai propri mandati per portare alla luce le violazioni dei diritti umani che si verificano alle frontiere.

I respingimenti non hanno posto in Europa“, afferma la Commissaria Mijatović, ricordando che “[i] diritti umani esistono per proteggerci tutti, allo stesso modo, qualunque sia la nostra origine nazionale o etnica, il nostro colore o credo. Non c’è giustificazione per preoccuparsi – giustamente – della vita e del benessere di alcuni, e nel frattempo assoggettare altri – consapevolmente – a pratiche che mettono le loro vite in pericolo o che li espongono a tortura o a maltrattamenti“.

Dalla Raccomandazione emerge, forte e impellente, la necessità che gli Stati europei rimettano al centro delle politiche di gestione dei propri confini il valore e la dignità dell’essere umano, e che tornino a garantire il rispetto dei diritti di tutti coloro che attraversano le frontiere europee in cerca di protezione, senza distinzione alcuna.

 

La Raccomandazione della Commissaria Mijatović è disponibile QUI.

Foto in copertina: Migration crisis on the border with Belarus di Nzpm