Cosa facciamo in Libia?

Operiamo in Libia dal 2009, in condizioni in continuo divenire, e il nostro obiettivo è sempre stato quello di cercare di migliorare le condizioni di vita di migranti e rifugiati e di facilitare il loro accesso ai diritti. La nostra attività è rivolta anche alla popolazione locale e agli sfollati interni soprattutto in questo periodo particolarmente difficile e per incentivare la coesione sociale.

Nel 2018, in un contesto in cui il sistema sanitario è collassato, abbiamo realizzato progetti finalizzati a migliorare e incrementare l’accesso da parte di richiedenti asilo, rifugiati, sfollati interni e cittadini libici, ai servizi di prima assistenza sanitaria attraverso la fornitura di medicinali e la ristrutturazione di alcuni importanti poli ospedalieri particolarmente esposti ad interventi di pronto soccorso ed emergenza a Tripoli.
Abbiamo sviluppato interventi rivolti ai minori ristrutturando una scuola primaria a Janzour – a circa 12 km da Tripoli – frequentata da un totale di 400 bambini appartenenti alla comunità locale. Abbiamo distribuito beni di prima necessità, giocattoli, abbigliamento, scarpe all’Orfanotrofio Abu Hreida a Tripoli, che ospita circa 56 bambini sotto i 13 anni di età.

Nel solo mese di dicembre dello scorso anno, attraverso un’intensa attività di profiling dei richiedenti asilo presenti nei centri di detenzione a Tripoli o in aree limitrofe, sono state individuate ben 130 persone bisognose di protezione internazionale alle quali è stata subito fornita assistenza legale e psico-sociale.
Sempre nel 2018 abbia avuto accesso al centro di Trik al Matar, in prossimità dell’aeroporto di Tripoli, e nel quale la situazione era particolarmente difficile, spesso in sovraffollamento, fattore che in estate ha richiesto il nostro rapido intervento nell’istallazione di un sistema di ventilazione. Nel corso dei nostri accessi al centro registravamo le persone presenti effettuando un monitoraggio delle situazioni più vulnerabili e distribuendo assistenza umanitaria come kit igienici, latte in polvere e biscotti. L’obiettivo, in questo caso, è stato quello di alleviare le sofferenze delle persone presenti nel centro e raccogliere le loro storie.

La storia di Fatima

Fatima è arrivata nel centro di Trik al Sikka durante la notte precedente al nostro incontro. È stata ripescata in mare dalla Guardia Costiera e portata qui. Fatima viene dall’Etiopia ed è incinta.

Ci viene incontro e chiede se possiamo aiutarla ad incontrare il marito; sono stati divisi all’arrivo al centro, com’è prassi, ed ancora non sono riusciti a rivedersi.

Riusciamo a rintracciare l’uomo. Il loro abbraccio è una parentesi di pace in un vortice di dolore. Poco tempo e saranno subito separati nuovamente. Non sanno quanto rimarranno nel centro né quando sarà data loro la possibilità di vedersi di nuovo.

Nei centri di detenzione in Libia l’unica possibilità di uscita è con il ritorno nel Paese di origine o attraverso i corridoi umanitari, altrimenti essendo considerato un migrante irregolare sul territorio libico, la normativa nazionale prevede la detenzione per un tempo indefinito.

La storia di Youssef

Youssef ha 16 anni, viene dalla Sierra Leone. Quando i suoi genitori e i due fratelli sono morti di ebola ha iniziato insieme al fratello più grande la traversata per tentare di arrivare in Europa.

Il fratello è stato ucciso mentre i due passavano da un gruppo di transito all’altro; Youssef invece è stato catturato e portato a Tajoura.

Gli chiedo se vuole il telefono per chiamare qualcuno, per dirgli che sta bene. Desolato risponde “Non ho più nessuno da chiamare, sono rimasto solo, sono tutti morti”.

I nostri laboratori

Quest’anno abbiamo realizzato delle attività insieme all’organizzazione libica ODP – Organisation of Development Pioneers a favore di bambini libici provenienti da aree in cui hanno luogo scontri e conflitti armati a sud di Tripoli e che stati sono ospitati in centri di accoglienza temporanei e improvvisati come palestre, scuole ecc, dislocati in diverse aree all’interno della città (Om amara, Tarq Ben Ziad). Abbiamo tenuto dei laboratori di riabilitazione psico-sociale suddivisi in 12 sessioni in 3 scuole. Ogni scuola ospita circa 50 bambini.
Si tratta di un’attività molto importante, sia per i bimbi che per le famiglie, perché li aiuta nel loro percorso di superamento del trauma della guerra e della violenza da cui sono stati costretti a scappare e per sviluppare maggiormente le loro capacità di resilienza.